E se l’incendio di Moria fosse un’opportunità?
Scriveva giovedì 10 settembre su Facebook la sempre brava Nancy Porsia “Nell’incendio di Moria brucia anche l’anima dell’Europa.” Saremmo certamente d’accordo, se non nutrissimo qualche dubbio sull’esistenza stessa di quest’anima, quantomeno rispetto al tema delle migrazioni. Sono ormai quattro anni che i 28 Paesi che allora componevano l’Unione Europea hanno steso un enorme tappeto (costato 6 miliardi di euro) per nascondere la “polvere” dei milioni di profughi in fuga da guerre e fame. D’altra parte lo schema non è nuovo nel Vecchio Continente. Negli anni cinquanta, tra inganni e ipocrisie, migliaia di meridionali italiani pagarono con il proprio sudore (e tanti con la morte) la fornitura di carbone assicurata dal Belgio al nostro Paese. Adesso l’Europa paga la Turchia per non vedere, e la Grecia per non sporcarsi. E dal momento che la modalità con cui il governo Mitsotakis pensa di fronteggiare l’emergenza umanitaria è quella di proporre una fantasiosa barriera fluttuante al largo delle coste greche per contenere l’arrivo delle barche, si capisce che Moria non è certo una causa, ma un doloroso, insopportabile effetto del cinismo politico e della propaganda sovranista.
La nigredo di Moria, la sua distruzione tra le fiamme, dunque non è solo una pessima notizia per le migliaia di donne, uomini e bambini che in un modo o nell’altro in quel campo ci sopravvivevano, in attesa di incamminarsi verso il futuro. E’ anche -o potrebbe esserlo- un’opportunità per spazzare via l’ipocrisia della Grecia ma soprattutto dell’Europa non solo rispetto alle indegne condizioni di vita in questi campi, ma anche rispetto ai Diritti Umani e alle decine di Convenzioni, Dichiarazioni, sentenze e solenni pronunciamenti che l’Unione Europea produce da settant’anni ed ignora da altrettanto.